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Il tempo del vivente

Saverio Forestiero

La vita intrattiene un peculiare rapporto con il tempo; per certi aspetti lo contiene dentro di sé, lo organizza e lo domina. La forma del tempo biologico potrà essere lineare o circolare, a seconda dei fenomeni sotto osservazione. Il vivente è sede di attività, di natura eminentemente biochimica, che producono un continuo divenire di stati perennemente lontani dall’equilibrio termodinamico. Quest’incessante dinamica, stante la struttura gerarchica del vivente, si rifletterà in una pluralità di tempi: dal tempo del ciclo cellulare a quello delle trasformazioni ontogenetiche a quello dell’evoluzione. Scale diverse, tempi diversi, velocità diverse. Misure diverse del tempo.

Ogni vivente scambia con l’esterno materia, energia, informazione e queste quantità possono venire scambiate secondo ritmi scanditi dagli orologi biologici: ritmi circadiani e ritmi stagionali possono mettere in fase le attività degli organismi con le regolarità dei moti celesti. I tempi dell’individuo si intrecciano a quelli transgenerazionali dell’evoluzione. Col trascorrere delle generazioni, l’identità delle specie non resta mai immutata: o evoluzione o estinzione. Niente nell’universo è più storico della vita. Le specie sono infatti come vere e proprie “macchine storiche”; macchine in quanto sede di processi causali descrivibili deterministicamente e largamente prevedibili; però storiche, giacché condizionate da accadimenti interni come le mutazioni genetiche ed esterni come certi cambiamenti ambientali con dinamica intrinsecamente imprevedibile.

Il tempo dell’evoluzione è costellato di eventi irripetibili. È un divenire senza ritorno, ma senza progresso. Questa specificità del vivente, la sua intrinseca storicità, ha anche una grande conseguenza per l’epistemologia della biologia: rende infatti particolarmente problematica la costituzione di una biologia teorica modellata su quella della fisica (leggi universali e capacità previsionale). E infatti: se quello che si osserva è all’insegna dell’individualità e della storicità, se il supporto dei fenomeni, il piano del fenotipo, non contiene tutti i fenotipi possibili ma solo un loro sottoinsieme, se il numero dei possibili genotipi sottostanti i fenotipi è anche esso solo una parte di quello possibile per pura via combinatoria, come potremo mai sperare di scoprire leggi biologiche invarianti, valide sempre e ovunque?

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